marzo 28, 2014

The hurt locker

(è uno di quei post intimisti sui cazzi miei personali che se non avete voglia di leggere potete chiudere la finestra adesso e nessuno vi biasimerà)

C’è un motivo ben preciso e personale per cui gli Afterhours ormai li ascolto quasi esclusivamente dal vivo, solo che a forza di farlo me lo ero anche dimenticato. Sono aiutata dal fatto che qui a Milano abbiamo l’opportunità di assistere spesso ai loro concerti, non ho idea di quanti ne ho visti dal 2000 a oggi, secondo me più di venti di sicuro, ma almeno ogni anno ricevo la giusta dose di germi, iene, lividi, bombay, punti g e via dicendo.
Purtroppo lo scorso martedì sera all’Alcatraz, durante l’intera esecuzione dal vivo di Hai paura del buio *così-com’è-nel-disco-del-1997*, ho ricordato a mie spese perché avevo spedito quel disco in un ripiano bassobasso della libreria. Non volevo che mi guardasse più con quei suoi begli occhietti spenti.
Sono stata una sventata, lo ammetto, ad andare all’Alcatraz senza immaginare che mi sarei confrontata con dei fantasmi irrisolti.
L’effetto pavloviano è stato davvero da manuale. Abituata per anni agli arrangiamenti da concerto, al disordine di scalette che mescolano pezzi di tutto il repertorio, spararmi il disco come tanti anni fa, con tutte le sue distorsioni, scordature e parole incomprensibili… mi ha mandato a malissimo. Allenata ormai a riprendermi in pochi minuti dai momenti in cui prenderei a calci anche un rarissimo vaso Ming che risolverebbe il problema del mutuo trentennale che grava sulla mia personcina, uscita dall’Alcatraz stavo già benone.

Dopo Hai paura del buio gli Afterhours hanno eseguito delle canzoni inutili di un disco che non ho mai ascoltato, quindi ho colto la facile occasione di estraniarmi pensando al tipo occhieggiato alla mia sinistra e con cui mi sono scambiata un mezzo sorriso, e ho addirittura fatto una riflessione.

[OMISSIS: qui c’era un paragrafo dove scrivevo le stesse cose che dico sempre, che a volte ripeto perché i mantra vanno ripetuti. "Sto benone, ho trovato la soluzione per vivere abbastanza spensieratamente la quotidianità e di farmi un baffo dell’irrisolutezza altrui". Purtroppo ci sono dei momenti random in cui il passato si ripresenta come un peperone. Chiamalo karma, chiamalo fanculo, ma quando mi piglia sono sempre impreparata, un po’ come con la sindrome premestruale: sto male malissimo, piango piangissimo, nessuno mi vuole vuolissimo, sono una creatura disgustosa disgustosissima… AH MA E’ SOLO UN PROBLEMA ORMONALE, TRA UNA SETTIMANA QUINDI SPACCO IL MONDO sulle note di “Hold on I’m coming”]


La riflessione più importante che ho fatto, comunque, è che il prossimo deve essere alto almeno un metro e ottantacinque. Che ho diritto anche io di abbracciare uno alto, di appoggiare la testa a un petto e non a una clavicola, facendo pure la fatica di ingobbirmi e piegare le ginocchia. Non saranno fatte eccezioni, anche perché sapeste che scuse ridicole ho sentito io, con queste orecchie. Credo che appoggiare la testa a un petto sia un diritto da inserire nella Convenzione dei diritti dell’uomo. Ora vado a fare una telefonatina ad Amnesty International per far valere la mia ragione. Forse gireranno la chiamata al WWF, ma non transigo: l’importante è che sia alto.

3 commenti:

DK ha detto...

nella mia testa mi ero fatto un bel commentino ma non riesco proprio a tirarlo fuori, quindi, andiamo diretti:voi donne cercate uno che vi ama veramente oppure cercate uno che vi aggrada e poi, se vi ama pure, tanto di guadagnato? ti giuro che non vi riesco mai a capirvi..vabbè, torno a giocare con Donkey Kong và.. saluti

Elena ha detto...

Caro Donkey Kong personalmente cerco una persona che mi aggradi e a cui aggrado pure io. L'amore è un sentimento che dovrebbe essere condiviso, se non è cambiato qualcosa dal 1999, anno in cui mi sono innamorata l'ultima volta.

luigi ha detto...

Cara Elena penso che tu sia sulla strada giusta. Hai capito anche tu che è inutile rincorrere il batticuore del cuore verginello per seguire una più pragmatica via all'amore. Poche cose ma sacrosante su cui basare un minimo di selezione, giusto per non sentire di tirarsi una coperta sui piedi quando li abbiamo freddi. È almeno un punto di dignità per Dio.

 

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